Il gigante cinese BYD punta sulla componentistica italiana per i suoi nuovi stabilimenti europei. Una scelta che potrebbe portare importanti commesse alle nostre aziende.
Solo pochi mesi la crisi sembrava senza uscita, tra le esitazioni di Stellantis e il mancato decollo dei molti piani alternativi formulati fino a ora. L’auto italiana sembrava sul punto di cedere, insieme al suo know how, al suo indotto, a un mondo che respira da sempre meccanica, benzina e velocità.
Sembra che qualcosa di grosso sia successo in queste ore: il settore automotive italiano, con la sua rete di fornitori specializzati, ha attirato l’attenzione di uno dei più grandi produttori mondiali di auto elettriche. Le nostre aziende, sparse tra Nord e Centro Italia , potrebbero presto diventare fornitrici di BYD. Il colosso cinese cerca partner affidabili per i suoi nuovi stabilimenti europei. Gli incontri sono già fissati.
Tutto si svolgerà a Torino, dal 20 al 22 febbraio. I rappresentanti di BYD incontreranno i produttori italiani di componenti auto. Gli stabilimenti da rifornire sorgeranno in Ungheria e Turchia. Il primo aprirà i battenti alla fine del 2025, il secondo nel 2026.
A guidare l’operazione c’è Alfredo Altavilla, che conosciamo bene: ex braccio destro di Marchionne in FCA, oggi lavora come consulente speciale di BYD per l’Europa. Conosce ogni ingranaggio dell’industria italiana. Sa dove trovare i fornitori giusti.
La scelta di produrre in Europa non è casuale. Gli stabilimenti in Ungheria e Turchia permetteranno a BYD di evitare i dazi sulle auto elettriche cinesi. Le fabbriche avranno bisogno di tutto: dalle sospensioni agli interni, dall’elettronica ai sistemi di sicurezza. Solo le batterie resteranno made in China – le famose blade battery sono il fiore all’occhiello di BYD.
I fornitori italiani dovranno dimostrare di essere all’altezza. Gli incontri di febbraio serviranno per capire se ci sono le basi per collaborare. I tecnici cinesi spiegheranno le loro tecnologie. I nostri produttori mostreranno cosa sanno fare. Non sarà una passeggiata: i prezzi dovranno essere competitivi con quelli asiatici.
La vicinanza geografica gioca a nostro favore. Trasportare componenti dalla Cina costa tempo e denaro. Le aziende italiane potrebbero rifornire gli stabilimenti in modo più rapido ed efficiente. Hanno anche un altro asso nella manica: decenni di esperienza con i grandi marchi europei.
Il settore della componentistica italiana potrebbe ricevere la spinta di cui ha bisogno. Nuovi ordini significano più lavoro. Più lavoro vuol dire più investimenti e assunzioni. In questo momento di passaggio all’elettrico, un’iniezione di fiducia farebbe proprio bene.
Altavilla l’aveva detto in una recente intervista: “L’Europa ha una filiera di componentistica eccellente. Vorrei spingere la filiera italiana a essere protagonista in questo percorso”. Ora quella porta si sta aprendo. Sta ai nostri produttori dimostrare di saperla attraversare. E certamente lo faranno
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