L’auto sbagliata sulla strada sbagliata: la scelta che (forse) ha ucciso Diogo Jota

Avevano solo scelto di viaggiare su strada, perché volare non si poteva. Un tragitto normale ma accidentato, una supercar fuori posto. E forse è tutto lì. In quella bellezza letale che non lascia scampo

Stava solo tornando a casa, dopo le nozze e un divieto medico a volare. Diogo Jota ha preso una supercar, ma stava facendo un viaggio da SUV. In quella scelta apparentemente banale si è forse nascosto il destino. E ora resta una tragedia che non ha senso, ma deve far pensare.

Quando si parla di fatalità, il margine per ragionare si fa stretto. Eppure ogni volta che succede qualcosa di irreparabile, torna a galla la stessa domanda: si poteva evitare? Non in senso accusatorio, non per trovare un colpevole. Solo per capire se una scelta diversa, anche banale, avrebbe potuto cambiare tutto. Un’altra strada, un altro orario, un’altra macchina. A volte basta quello.

Diogo Jota era appena stato operato ai polmoni. I medici gli avevano vietato l’aereo, troppe complicazioni legate alla pressione in cabina. Quindi niente volo. Solo strada. Da sud della Spagna fino a Liverpool, passando per il porto di Santander e poi il traghetto per Portsmouth. Con lui, il fratello André. Stesso sangue, stessa passione, stessa voglia di tornare a casa.

Niente serate, niente eccessi. Viaggiavano di notte per sfuggire al caldo africano che sta piegando l’Europa. Dovevano fermarsi a Burgos, dormire qualche ora. Non ci sono mai arrivati.

La Lamborghini Huracàn: la macchina sbagliata nel momento sbagliato

La verità più amara è che non erano al volante della loro auto. Avevano noleggiato una Lamborghini Huracán. Un missile da 600 cavalli, bassa come un foglio di carta e rigida come una lamiera piegata male. Una macchina da pista, da vetrina, da video su TikTok. Bellissima. Ma inadatta.

le immagini dell'incidente di Diogo Jota
La Lamborghini Huracàn: la macchina sbagliata nel momento sbagliato (AnsaFoto) – derapate.allaguida.it

Al chilometro 65 della A-52, tra Cernadilla e Palacios de Sanabria, qualcosa è andato storto. Uno pneumatico è esploso. L’auto ha perso aderenza, ha sbandato, è uscita di strada. Poi l’incendio. Il boato. Le fiamme. I corpi non si sono più visti. Solo il DNA ha potuto dire chi c’era dentro.

Una tragedia totale. E, sì, una tragica fatalità. Perché anche se l’auto fosse stata diversa, più alta, più protettiva, non è detto che il risultato sarebbe cambiato. Ma forse sì.

Quando si prende una macchina del genere, non si sta solo scegliendo un veicolo. Si sta scegliendo una risposta all’incidente. Una Huracán, con quel motore e quella tecnologia pazzesca per prevenire gli incidenti, non è pensata per proteggerti se sbatti. È pensata per evitartelo.

Ma se qualcosa va storto, come uno scoppio a 120 all’ora, non c’è airbag o telaio che tenga. Diventa una trappola. Come una scatoletta di tonno: chiusa, sigillata, incandescente.

La domanda che si fanno tutti: un SUV avrebbe fatto la differenza?

Un SUV, una berlina alta, anche se potenti e strutturate (perché ok non scegliere la super-car, ma se puoi permetterti un’auto importante… perché no?), in situazioni simili ti dà più tempo. Più spazio per muoverti, per reagire, per tentare di uscire.

Le immagini dal Funerale di Diogo Jota
La domanda che si fanno tutti: un SUV avrebbe fatto la differenza? (AnsaFoto) – derapate.allaguida.it

In alcuni casi basta una maniglia accessibile per guadagnare qualche secondo. In altri, è il solo fatto di non essere bassissimo sull’asfalto a fare la differenza tra la vita e la morte.

Ma, appunto, stiamo parlando di una tragica fatalità, è bene ribadirlo più volte. A voler essere fatalisti, a volte pensi che forse semplicemente era arrivata la sua ora. La loro ora. Ci restano le lacrime e lo sgomento e il solo sperare che Diogo e Andrè ora sono in un posto migliore.

Sia chiaro, sia scritto a caratteri cubitali: Jota non era in cerca di adrenalina. Voleva solo tornare a casa. Ma forse, per un viaggio così lungo, così delicato, così esposto a rischi, serviva una macchina più adatta. Una macchina meno d’effetto, più razionale. Una di quelle che non fanno girare la testa, ma che ti lasciano il tempo di scendere.

E allora sì, è giusto dirlo forte: è stata una tragedia assurda. Ma forse, tra tutte le cose che non si potevano controllare, una si poteva scegliere meglio. Perché un’auto non è solo un mezzo. È anche una possibilità. O la sua negazione.

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