Una Ferrari senza Cavallino sul cofano, nata FIAT per essere accessibile: la Dino cambia le regole e diventa un affare vero.
Nel cuore degli anni Sessanta, Ferrari cerca una via d’uscita dall’isolamento industriale. Dopo i contatti sfumati con Ford e GM, Enzo Ferrari trova in Gianni Agnelli l’interlocutore giusto. L’intesa arriva a ridosso del Natale del 1968: FIAT rileva il 50% della Ferrari, con una condizione chiara imposta dal Drake, l’autonomia totale del reparto corse.
Il Consiglio FIAT tentenna, ma l’Avvocato spinge e chiude l’operazione. Da lì comincia una collaborazione lunga e concreta. Dentro questa cornice nasce una sportiva particolare: porta la meccanica giusta, parla il linguaggio di Maranello, ma si presenta con il marchio di Torino. È il progetto che apre la Ferrari a un pubblico più ampio senza tradirne l’anima. E svela un lato poco noto della storia comune tra i due brand.
La Ferrari marchiata FIAT: la Dino per tutti
Tra il 1966 e il 1972 FIAT costruisce la Dino in due versioni: Spider disegnata da Pininfarina e Coupé firmata da Bertone. L’idea nasce da una necessità sportiva: omologare un numero sufficiente di motori Dino per la Formula 2, destinati alla Dino 166 F2. Per farlo servono volumi che Ferrari da sola non può garantire, quindi l’accordo con Torino diventa la chiave.

La Ferrari ha già in gamma la Dino 206 GT, raffinata e costosa. Per raggiungere più clienti, si decide una “Dino” con marchio FIAT: stesso V6 di famiglia, il resto cambia. E c’è una scelta precisa di posizionamento: la 206 GT sarà venduta come “Dino”, senza scritte Ferrari su motori e cofani e senza scudetto. Identità distinta, ma DNA comune.
La FIAT Dino adotta un’impostazione tecnica diversa dalla sorella di Maranello. Motore anteriore e trazione posteriore, avantreno a ruote indipendenti, cambio manuale a cinque rapporti, freni a disco con servofreno su tutte le ruote. Il V6 eroga 160 cavalli, numeri importanti per l’epoca. Con gli aggiornamenti successivi, la velocità massima tocca i 205 km/h, confermando prestazioni di livello senza eccessi scenografici.
La sostanza è tutta qui: stessa famiglia meccanica, un progetto più pratico e “usabile”, prezzo sensibilmente inferiore rispetto alla Ferrari coeva, ma lontano dall’essere low cost. È la via maestra per dare a molti l’accesso a un’esperienza sportiva autentica, senza dover entrare nel club esclusivo di Maranello. La collaborazione FIAT-Ferrari, partita come operazione industriale e sportiva, concreta una vettura oggi spesso dimenticata, ma centrale per capire quell’epoca.
La Dino marchiata FIAT resta la “Rossa” che ha aperto una porta. Non mette in vetrina il Cavallino, eppure ne condivide l’anima tecnica. È il compromesso intelligente tra desiderio e realtà: prestazioni, stile italiano, meccanica nobile, in un pacchetto più accessibile. Un capitolo che racconta come, a volte, il valore non stia nel badge, ma nella sostanza del progetto. E spiega perché quella FIAT Dino, oggi, parli ancora a chi cerca emozione sincera senza chiedere il mondo.