Un’altra scossa per uno dei colossi più iconici del Vecchio Continente: qualcosa di grosso sta bollendo in pentola. Si parla di numeri e di scelte molto pesanti.
Dietro la facciata delle sportive da sogno, ci sono problemi. Anche una realtà spesso ammirata per solidità e risultati si trova oggi davanti a un punto di svolta che nessuno avrebbe previsto solo fino a qualche mese fa. Lo scenario non è certo quello a cui ci ha abituato Porsche: vento contrario, nuovi colpi incassati e un clima di incertezza che comincia a farsi sentire in tutti i reparti.
È Oliver Blume a mettere le carte in tavola. Il capo di Porsche, senza troppi giri di parole, lo ha detto: “Il nostro modello di business, quello che ci ha portato fin qui, così com’è non basta più.” Le vendite arrancano sul mercato cinese – non è più il traino di una volta – e gli Stati Uniti, da aprile, si sono trasformati in una corsa a ostacoli per chi esporta dall’Europa, complice il dazio del 27,5% che colpisce tutti i veicoli provenienti da oltre oceano.
La situazione complicata di Porsche
Nella seconda metà del 2025, partiranno le trattative tra azienda e lavoratori per mettere a punto un secondo pacchetto di tagli. Ridefinire equilibri interni e salvaguardare la competitività nel lungo periodo sono le sfide. In questo clima sospeso, però, nessuno si sbilancia sui dettagli. Bocche cucite sui numeri e sulle aree coinvolte: per ora, dalla direzione arrivano solo linee guida generali e un messaggio inequivocabile, che trasuda preoccupazione anche senza tante parole.

Ma se la stretta appena annunciata è ancora tutta da scrivere, qualcosa di concreto già c’è. All’inizio dell’anno, Porsche aveva ufficializzato un primo piano di alleggerimento: 1.900 posti di lavoro in meno su circa 40.000 totali, da eliminare entro il 2029. Il messaggio, oggi, è ancora più netto: ci saranno altri sacrifici e bisognerà decidere dove tagliare, se davvero si vuole mantenere il marchio saldo nella corsa globale.
Sullo sfondo resta la questione americana. La casa non ha stabilimenti negli Stati Uniti e ogni modello destinato a quel mercato prende il largo dalle linee tedesche, con tutti i costi del caso. Conseguenze immediate: le auto Porsche diventano meno competitive rispetto ad altri brand non colpiti dai dazi.
Resta da vedere se la storica capacità di Porsche di reinventarsi – a partire dalla produzione, passando per i modelli e finendo alle strategie di vendita – riuscirà ancora una volta a fare la differenza. La certezza, però, è una sola: la pausa degli anni d’oro è finita. Ora si balla davvero e non sarà semplice trovare il ritmo giusto.