La Lancia a cui FIAT provò a fare lo sgambetto: boicottata da dentro aveva tutto per sfondare

Un modello Lancia poco noto, nato bene ma frenato in casa: tra scelte industriali, concorrenza interna e soluzioni tecniche in anticipo sui tempi.

Lancia è un nome che evoca storia, corse e innovazione, una tradizione che ha fatto innamorare generazioni di automobilisti italiani e non solo. Dopo i trionfi nei rally guidati dall’era di Cesare Fiorio, la parabola sportiva si era chiusa nei primi anni Novanta, lasciando il marchio a un lungo periodo di ombre da cui oggi Stellantis tenta di riemergere con la nuova Ypsilon e, dal 2026, con la Gamma come ammiraglia.

In questo percorso a strappi si inserisce un capitolo spesso rimosso: una berlina media dall’impostazione peculiare, presentata a Torino nel 1980, capace di distinguersi per tecnica e personalità, ma sacrificata sull’altare di scelte di gamma e costi di produzione. Una Lancia definita “difficile” non perché povera di contenuti, bensì per lo spazio che le fu negato.

La Lancia boicottata dall’interno

La Beta Trevi nasce come tre volumi a quattro porte, evoluzione della Beta a due volumi: coda ridisegnata, lunotto più inclinato, gruppi ottici inediti e un padiglione che dà slancio alla linea senza stravolgerne l’impostazione meccanica. Debutta al Salone di Torino del 1980 e punta al segmento medio-alto, cercando un posizionamento più “alto di gamma” rispetto alle omologhe generaliste, scelta coerente con il dna del marchio.

Lancia boicottata
La Lancia boicottata dall’interno (Stellantis) derapateallaguida.it

Sotto il cofano, la Trevi ha frecce affilate: al lancio monta il bialbero 1.6 da 102CV per 170km/h, affiancato dal 2.0 da 115CV capace di toccare i 180km/h. Arriva poi l’iniezione elettronica da 122CV e, a richiesta, il cambio automatico a tre rapporti, un’opzione rara nell’epoca e nel segmento.

Il culmine tecnico è la versione con compressore volumetrico da 135CV, un “turbo” di scuola Lancia che privilegia coppia e prontezza, anticipando un certo modo di intendere la sovralimentazione su berline di taglia media. Una gamma motori così articolata delineava un’identità precisa: berlina compatta ma ambiziosa, pensata per chi cercava contenuti tecnici senza scadere nel lusso ostentato.

Eppure, i numeri non la premiano: tra 1980 e 1984 a Chivasso vengono costruiti 40.628 esemplari, ben al di sotto delle aspettative. Il motivo principale non sta nel prodotto, ma nel contesto: prima la 131, poi soprattutto la Regata entrano sullo stesso terreno di gioco con costi più bassi e un posizionamento funzionale agli obiettivi FIAT.

Non è il mercato a bocciarla, quanto una strategia che la usa come pedina sacrificabile a favore delle sorelle FIAT più convenienti da costruire e da spingere in rete. Oggi che il marchio prova a ripartire, la lezione della Trevi suona attuale: quando identità e prodotto ci sono, occorre proteggerli con scelte di gamma chiare, evitando sovrapposizioni che divorano le differenze e spengono sul nascere il potenziale. In quell’incrocio di interessi, la Trevi aveva tutto per dire la sua. Non le è stato concesso il tempo.[

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