Sembra un razzo ed è anche più veloce di una F1. Alla scoperta della supercar che vale quanto quattro Ferrari assieme.
L’automotive ci ha abituato ad opere concettuali alcune delle quali davvero estreme e molto difficili, se non impossibili, da trasformare in realtà o da replicare in serie. Non per nulla molti marchi di auto sportive vanno avanti ad edizioni limitate. Non la supercar di cui parleremo, però. Lei è un unicum che non ha pari in commercio. Una delle ragioni è che non assomiglia per nulla ad una quattro ruote per come la intendiamo normalmente.
Guardandola la prima cosa che viene in mente è un razzo. Ed effettivamente quasi lo è. Per realizzare il bolide che vale quattro Ferrari messe insieme, ci sono volute ore e ore di studio e di lavoro in galleria del vento. A svilupparla un’azienda che dopo il fallimento avvenuto nel 2000, è rinata grazie ad un imprenditore monegasco che le ha dato nuova linfa indirizzandola verso la produzione di mezzi elettrici e le competizioni a zero emissioni come la Formula E.
Alla scoperta della Venturi VBB-3, la supercar dei record che in pochi ricordano
Trasformatasi presto in un polo dell’innovazione, la Venturi ha lanciato un programma dal nome Mission 01: Jamais Contente focalizzato proprio nella ricerca della massima velocità in full electric. L’ambizioso piano è stato concretizzato grazie alla partecipazione dell’Ohio State University’s Center for Automotive Research. Il debutto di questa collaborazione ha dato subito vita ad un veicolo da primato. Mai prima d’ora un EV aveva raggiunto i 100 km/h.
Il passo successivo è stato la Buckeye Bullet-3. Un gruppo di giovani ingegneri ha deciso di alzare l’asticella della performance pura. E’ così è nato il nostro razzo. Equipaggiato con due motori elettrici e otto pacchi batterie agli ioni di litio, la VBB-3 in accelerazione era in grado di toccare addirittura i 644 km/h. Qualcosa di mai visto. In grado di scaricare sull’asfalto fino a 1.500 cv, era quattro volte più prestazione del Ferrari 12 cilindri.

Plasmare un simile propulsore è stata una vera sfida a causa del rischio di superare i limiti di temperatura dei magneti e dell’avvolgimento elettrico. Proprio per evitare il surriscaldamento i tecnici hanno individuato nel pompaggio dell’olio la soluzione migliore, ottenendo alla fine il successo sperato. Nel periodo di lavorazione gli studenti si sono dedicati esclusivamente al progetto impegnandosi quaranta ore alla settimana.