Un affare nato da un annuncio e da un’intuizione: Land Rover, Defender e una decisione che frutta cifre da capogiro, senza trucchi.
Nel mondo dell’auto, ogni tanto capita chi vede un po’ più in là. Charles Fawcett, imprenditore britannico con un debole per i marchi di casa e per l’off-road, è uno di quelli. Nel 2015, quando Land Rover rende noto lo stop al Defender entro un anno, lui non ci pensa troppo: ordina un lotto enorme, l’ultimo davvero significativo del vecchio modello.
Punta dritto su un’icona che sta per uscire di scena, convinto che il valore salirà quando la catena si fermerà. L’idea è semplice: comprare quando tutti stanno voltando pagina e rivendere quando la nostalgia e la rarità faranno il loro lavoro. La scommessa è forte, ma la tempistica è la chiave. E in questo caso, è perfetta. L’azzardo diventerà un moltiplicatore di valore, oltre ogni aspettativa.
L’intuizione sul Defender e la mossa che cambia tutto
Nel momento in cui Land Rover annuncia la fine del Defender “classico”, Fawcett piazza un ordine di circa 250 unità, l’ultimo grande acquisto prima che la produzione si fermi. Segue da vicino il capitolo finale: assiste alla costruzione dell’ultima vettura uscita dalla linea nel Regno Unito, in attesa del modello successivo, presentato nel 2020 con un’impostazione completamente diversa, più pesante, ibrida, orientata al comfort. Proprio questa svolta di prodotto rafforza il valore collezionistico del precedente.

L’investimento iniziale è impegnativo: quasi dieci milioni di euro complessivi, circa 40 mila per ogni Defender. La rivendita racconta un’altra storia: il prezzo medio supera i 120 mila euro, con punte oltre i 200 mila per alcuni esemplari allestiti ad hoc. Il risultato economico è mostruoso, ma c’è anche la soddisfazione personale: con un ordine superiore alle 240 unità, la Casa lo invita a una visita privata negli stabilimenti, un accesso privilegiato che suggella l’operazione.
Dentro il maxi-lotto, l’imprenditore si tiene stretta una quindicina di unità particolari: sono le ultime a lasciare la catena, riconoscibili da una targhetta numerata fissata al telaio. Le lavora nel proprio atelier, le rifinisce, e proprio da quelle ottiene le maggiori plusvalenze in fase di vendita. Alcune, però, restano fuori dal mercato: si dice che ne conservi ancora un piccolo nucleo, al sicuro in un deposito privato di località non divulgata.
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Col senno di poi, c’è un dettaglio che fa sorridere: Fawcett ha venduto bene, ma se avesse aspettato ancora, avrebbe spuntato cifre persino migliori. Il che dà la misura della forza del mito Defender nella sua veste originaria, quella ruvida e senza fronzoli.
In definitiva, l’operazione funziona perché intercetta il passaggio d’epoca: un’icona si ferma, la sua erede cambia natura e il mercato premia la “purezza” del modello uscente. È bastato leggere il segnale, scommettere sulla scarsità futura e lasciare che il tempo facesse il resto. Un affare che, a conti fatti, vale come mettere in garage… duecento Ferrari.