Un’indagine rischia di ribaltare le certezze dell’industria cinese dell’auto, che sembrava imbattibile. Qualcosa di grosso sta venendo a galla.
Il settore dell’automobile in Cina si trova a un punto di svolta inatteso. Per anni i costruttori locali sono stati sostenuti da aiuti pubblici, che hanno permesso di portare sul mercato nuove generazioni di veicoli elettrici, capaci di conquistare spazio ben oltre i confini nazionali. Ora però emerge una realtà ben diversa.
Una serie di controlli ha svelato imperfezioni e abusi all’interno del sistema dei sussidi statali. Dietro i numeri da record e i successi all’estero, si nasconde una gestione opaca degli incentivi, con aziende di primo piano che avrebbero approfittato delle regole poco chiare per incassare somme non dovute.
I dettagli di uno scandalo che sconvolge tutto
Sotto accusa finiscono non solo modalità discutibili di richiesta dei fondi pubblici, ma anche pratiche di immatricolazione poco trasparenti che alterano gli stessi dati di vendita. Tutto questo in un contesto già segnato da tensioni: la corsa alla mobilità elettrica, la pressione della concorrenza, una guerra dei prezzi feroce.

Secondo un’indagine ministeriale, tra il 2016 e il 2020 diversi costruttori avrebbero ottenuto finanziamenti su veicoli non conformi ai requisiti, per una cifra che arriva a superare gli ottocento milioni di yuan. Tra i nomi coinvolti compaiono gruppi leader come BYD e Chery.
Chery, nota per la sua presenza internazionale, avrebbe inserito nelle richieste quasi novemila veicoli esclusi dai parametri, mentre BYD avrebbe fatto lo stesso con circa cinquemila unità. In entrambi i casi, si tratta di somme rilevanti che amplificano la portata dello scandalo.
Tra le irregolarità riscontrate spiccano due strategie: mancanza di tracciabilità sull’utilizzo effettivo dei veicoli e chilometraggi inferiori ai requisiti minimi fissati per ottenere l’incentivo. Alcuni produttori si sarebbero poi spinti oltre, sfruttando sistemi di immatricolazione accelerata per rientrare nei criteri di finanziamento.
Proprio qui si inserisce un altro aspetto emerso dall’inchiesta: la manipolazione dei dati di vendita grazie a un mercato parallelo dei cosiddetti chilometri zero. Dal 2019, la pratica consiste nel registrare come usate vetture appena uscite dalla fabbrica, per poi destinarle all’esportazione verso mercati esteri come Russia o Medio Oriente.
In questo modo le aziende mostrano una crescita fasulla, liberano magazzini e accedono più facilmente agli incentivi. Il Ministero del Commercio è dovuto intervenire, sospendendo i finanziamenti in alcune aree per verificare la correttezza delle richieste e contrastare le distorsioni.
L’obiettivo dichiarato delle nuove verifiche non riguarda solo la punizione dei responsabili, ma soprattutto la tutela della reputazione di un’industria che ambisce ad affermarsi nel panorama globale. Oggi infatti la sfida non è soltanto tecnologica o commerciale, ma passa anche dalla trasparenza e dall’affidabilità di un intero sistema.