Un retroscena su supercar elettriche e V12: Pagani racconta perché dietro l’auto alla spina c’è una verità preoccupante
Nel mondo delle hypercar c’è un confine che, per Pagani, non conviene superare: l’elettrico non scalda i cuori dei collezionisti e rischia di raffreddare pure i bilanci, motivo per cui la Casa ha preferito restare fedele al suo V12 Mercedes‑AMG, anche davanti all’onda lunga delle supercar a batteria che il mercato sta spingendo ovunque, Italia compresa.
L’elettrico funziona in città e sulle piccole, ma sulle auto estreme il carattere conta più dei kilowatt, e la voce di un dodici cilindri resta parte dell’esperienza, non un dettaglio tecnico intercambiabile. Da qui la prudenza: niente salti nel vuoto su una tecnologia che il pubblico Pagani non desidera, almeno oggi, e che rischierebbe di snaturare un marchio costruito attorno a meccanica, artigianalità e piacere sensoriale senza filtri.
Supercar elettriche, nodo identità
La storia parte da Utopia: otto anni fa Pagani apre due binari, uno termico e uno full electric a batteria, scartando l’ibrido perché ritenuto complesso e non maturo in quel momento, con un progetto seguito da un team dedicato e contatti stretti con i fornitori di Mercedes‑AMG al top della tecnologia.

Il test decisivo non avviene in galleria del vento ma in salone: l’idea viene presentata a concessionari e clienti, e la risposta è un muro di indifferenza, tanto da costringere a chiudere il capitolo BEV nonostante gli investimenti già compiuti e un accordo che, a quel punto, va annullato per salvaguardare la sostenibilità dell’azienda familiare.
Nel frattempo, la cornice normativa lascia spiragli: AMG ha omologato il V12 in Europa fino al 2030 e in California fino al 2032, con la convinzione che la finestra possa allungarsi, anche perché le regole cambiano e serve flessibilità per non bruciare scelte strategiche.
Dentro questa finestra Pagani celebra la sua cifra: il V12 come “festa”, pure con cambio manuale, un’idea di ingegneria meccanica che per il cliente è anche nutrimento intellettuale, non solo performance, e che oggi non prevede alcun addio programmato al dodici cilindri.
La scelta, quindi, è controcorrente solo in apparenza: mentre altri preparano il loro debutto “alla spina”, Pagani consolida la rotta, protegge la propria comunità e rimanda l’elettrico a quando potrà essere desiderio, non compromesso.
In un settore dove il carattere vale quanto la scheda tecnica bisogna essere certi che qualcuno voglia davvero l’elettrico, e per ora il coro dei collezionisti chiede ancora dodici cilindri e leve da muovere a mano. È una presa di posizione che racconta più del presente che del futuro, ma chiarisce come l’identità, per certi marchi, sia parte integrante della prestazione: senza quella, l’auto va forte, ma non va lontano.