Di nuovo alta tensione in Stellantis. Ecco cosa sta succedendo davvero e perché i lavoratori sono pronti a mobilitarsi.
Già sotto la lente d’ingrandimento negli Stati Uniti per le accuse (prontamente respinte dal gruppo) di avere ostacolato la vendita di alcuni suoi concessionari legati ai marchi Alfa Romeo e Maserati, Stellantis è tornata agli onori delle cronache americane. Qualche giorno fa la holding ha dovuto difendersi nuovamente, questa volta dalle accuse di alcuni suoi azionisti, che avrebbero intentato una causa contro il colosso sostenendo di essere stati ingannati in merito a dei dati diffusi dall’azienda.
Ma le complicazioni non sono finite qua. A mobilitarsi nelle ultime ore sarebbero stati pure dei dipendenti che si sarebbero appellati alla United Auto Workers, il sindacato dei lavoratori del settore, minacciando uno sciopero nazionale in riferimento ad un accordo stipulato nel 2023 per porre fine al lungo stato di agitazione durato settimane intere contro Chrysler, Ford e General Motors.
Nuovi guai per Stellantis, patti e investimenti non rispettati
La ragione di questa nuova insurrezione sarebbe da ritrovarsi nel mancato rispetto, a detta dei dipendenti, degli impegni presi per quanto riguarda gli investimenti e l’innesto di nuovo personale. In pratica Stellantis avrebbe promesso, ma non mantenuto, l’apertura di una gigafactory per batterie dal valore di 3, 2 miliardi di dollari e di una fabbrica di autocarri da 1,5 miliardi di dollari a Belvedere, nell’Illinois, così da occupare fino a 5mila persone entro il 2028.
Dal canto loro il presidente John Elkann e soci si sarebbero difesi rimandando le accuse al mittente, pur ammettendo dei ritardi nel programma stabilito. In sintesi, il piano di aprire nuovi stabilimenti sarebbe ancora attivo, ma a data da destinarsi. E pensare che nel mese di luglio il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti si era detto pronto a tirare fuori rispettivamente 334,8 e 250 milioni di dollari per riconvertire proprio l’impianto di Belvedere e quello di Kokomo nell’Indiana per la produzione di veicoli elettrici.
Ma i risultati delle vendite potrebbero far saltare tutto. Scorte eccessive, modelli fuori moda e prezzi elevati per gli EV, avrebbero allontanato i potenziali clienti facendo crollare l’utile netto da 8 a 4,3 miliardi. Il caso più eclatante di queste difficoltà è rappresentato dal Ram 1500 Classic realizzato a Warren Truck. Ebbene, ad inizio agosto il Gruppo avrebbe inviato 2.450 lettere di licenziamento indirizzate ad altrettanti operai.
A luglio, invece, nella sede centrale di Auburn Hills, sarebbe partito uno sfoltimento volto a fronteggiare i mancati guadagni. La volontà dell’ad Tavares sarebbe quella di sostituire i fuoriusciti con ingegneri a basso costo provenienti da Brasile, India e Marocco.