La joint venture tra Stellantis e Leapmotor si trova costretta a rivedere i suoi piani europei, in una vicenda che sa tanto di schermaglie commerciali tra Est e Ovest.
Il mondo dell’auto non smette mai di stupire. Proprio quando sembrava tutto pronto per l’avvio della produzione del nuovo crossover elettrico B10 in Polonia, ecco l’ennesimo colpo di scena che rimescola le carte in tavola. La joint venture tra Stellantis e il costruttore cinese Leapmotor deve fare marcia indietro, cancellando i piani iniziali.
Una decisione che arriva come un fulmine a ciel sereno e che sta facendo discutere gli addetti ai lavori. Il progetto sembrava ormai definito, ma le tensioni commerciali tra Europa e Cina hanno stravolto ogni programma, costringendo i vertici aziendali a cercare soluzioni alternative.
La svolta inaspettata
Dietro questo improvviso cambio di rotta c’è lo zampino di Pechino. Reuters ha rivelato che il governo cinese ha fatto pressioni sui costruttori nazionali, invitandoli a evitare investimenti nei paesi europei favorevoli ai dazi sui veicoli elettrici made in China. La Polonia, che aveva sostenuto queste misure protezionistiche, si è trovata così tagliata fuori dai giochi.
Ma non tutto il male viene per nuocere. Germania e Slovacchia, che si erano opposte all’introduzione dei dazi, sono ora in prima fila per accogliere la produzione del B10. Gli stabilimenti di Eisenach e Trnava potrebbero presto ospitare le linee di assemblaggio del nuovo modello elettrico. La Slovacchia parte con un piccolo vantaggio: i costi di produzione più bassi la rendono particolarmente appetibile rispetto alla Germania, dove manodopera e utenze pesano di più sul bilancio.
I governi di entrambi i paesi mantengono per ora un profilo basso, evitando dichiarazioni ufficiali su questa opportunità. Del resto, in queste partite industriali la discrezione è d’obbligo fino alla firma dei contratti. Stellantis e Leapmotor non hanno ancora svelato le loro carte, lasciando aperte tutte le ipotesi sul tavolo.
Resta da capire se oltre alle pressioni cinesi ci siano altri motivi dietro questa decisione. Molte sono le variabili, ed è del tutto possibile che in questo momento di svolta verso la mobilità sostenibile altri fattori entrino in gioco. Il gioco di Pechino è ben noto, e non sarebbe certo la prima volta che pressioni del genere vengono esercitate.
Il commercio internazionale è un gioco molto duro, a cui il governo cinese ha sempre mostrato di saper giocare con grande abilità, affrontando un pulviscolo scomposto di paesi, soprattutto europei, senza una chiara strategia comune.
Se dovesse confermarsi lo spostamento dello stabilimento, sarebbe un’altra mossa nella direzione dello scomponimento dell’unità europea. Una partita che va ben oltre la semplice produzione di automobili e che coinvolge equilibri politici ed economici su scala globale.