Roadster, un brevetto che fa discutere: tecnologia “bandita” dalla F1 che promette di rivoluzionare la guida
Otto anni di promesse e rinvii hanno fatto della nuova Tesla Roadster un miraggio: annunci, teaser, qualche numero sussurrato da Elon Musk e poi silenzio, fino a ora. Il movimento c’è, stavolta nero su bianco: un brevetto che riporta a galla una soluzione ai limiti del regolamento, quella delle ventole che “incollano” l’auto all’asfalto.
L’impostazione è tipica di Tesla: idea forte, gestione elettronica, promessa di usabilità quotidiana. Ma la notizia resta in controluce, come da titolo: il punto non è la scheda tecnica, bensì l’ambizione di mettere su strada una tecnologia che il motorsport ha già messo al bando. L’attesa cresce, i dubbi pure: quanto è davvero applicabile fuori dai cordoli? E quando vedremo la Roadster definitiva?
Tecnologia bandita dalla F1 sulla nuova Roadster
Il documento depositato da Tesla si chiama “Aerodinamica adattiva del veicolo per la deportanza” e descrive un sistema con quattro ventole elettriche nella zona posteriore, abbinate a minigonne retrattili capaci di avvicinarsi al suolo durante la marcia. L’obiettivo è creare bassa pressione sotto la vettura, aumentando la forza verticale sugli pneumatici e quindi l’aderenza, anche a velocità ridotte. In pratica, deportanza “su richiesta”, senza dipendere solo dalla velocità dell’aria che scorre su ali e profili.

Il principio non è nuovo: in passato lo si è visto nella Can-Am e, soprattutto, nella celebre Brabham BT46B del 1978, talmente efficace da uscire di scena quasi subito. Qui la differenza sta nell’intento: portare il concetto su un’auto stradale, con una gestione intelligente e adattiva, così da renderlo utilizzabile ogni giorno, non solo in pista. È il punto chiave del brevetto: efficienza sui rettilinei, spinta in curva, equilibrio da conservare senza compromessi.
Il riferimento contemporaneo è la McMurtry Spéirling, un’elettrica estrema capace di generare una deportanza monstre, sufficiente – sul piano teorico – a “reggere” anche condizioni limite da fermo. Tesla non dichiara numeri, ma l’aspettativa è che il sistema possa avvicinarsi a valori importanti, compatibilmente con il peso complessivo della Roadster. Qui si gioca una parte della credibilità del progetto: ventole, minigonne e gestione software devono convivere con massa, raffreddamento e rumorosità.
Resta l’ostacolo più concreto: la strada vera non è un circuito. In pista il fondo liscio consente alle minigonne di sigillarsi al suolo, garantendo continuità di depressione e stabilità. Sull’asfalto di tutti i giorni, tra buche, crepe e giunti, il contatto può saltare: se il sigillo si interrompe, la deportanza cala all’improvviso, con effetti potenzialmente critici sulla stabilità.
È il nodo tecnico da sciogliere per trasformare un’idea brillante in una soluzione affidabile. Serviranno controllo finissimo, ridondanze e logiche di fallback capaci di rendere la risposta progressiva, senza “scalini” percepibili dal guidatore.
Il quadro, quindi, è doppio: da un lato l’ambizione di Musk di rilanciare la Roadster con una tecnologia che cambia la tenuta a basse velocità e promette efficienza sui rettilinei; dall’altro, l’incognita della fattibilità su strada e dei tempi.
Tesla ha messo per iscritto l’intenzione e indicato una direzione netta. Se riuscirà a chiudere il cerchio, la Roadster potrebbe davvero ritagliarsi un posto a parte tra le sportive elettriche. Fino a quel momento, la rivoluzione resta un progetto: affascinante, discusso, e ancora tutto da dimostrare.