Quando il coraggio di osare si scontra con il gusto del pubblico: la storia dell’ammiraglia Renault che voleva rivoluzionare il mercato del lusso ma finì per diventare una splendida incompresa.
C’è qualcosa di romantico nelle auto che non ce l’hanno fatta. Quelle vetture nate da un’idea brillante, costruite con passione, ma destinate a un destino crudele. La Renault Vel Satis è una di queste. Correva l’anno 2002 quando la casa francese decise di giocare una partita ambiziosa: sfidare il dominio delle berline tedesche nel segmento del lusso. Non con un’auto convenzionale, ma con una creatura che sembrava arrivare dal futuro. Come un pittore incompreso, la Renault aveva osato troppo, troppo presto.
Un sogno troppo audace
La Vel Satis era come una modella alta e slanciata in mezzo a una passerella di classiche bellezze. Il suo design sfidava ogni convenzione: un frontale lungo e spiovente, un parabrezza che sembrava non finire mai, e una statura da vera regina della strada – ben 14 centimetri più alta di una BMW Serie 5. La coda poi, con quel lunotto avvolgente, era una vera provocazione stilistica. Come un vestito haute couture, poteva piacere o disgustare, ma di certo non passava inosservata.
Ma sotto quella carrozzeria anticonformista si nascondeva un cuore nobile. Il motore di punta era un gioiello di tecnologia: un V6 da 3.5 litri firmato Nissan, tutto in lega leggera, che cantava una melodia da vera sportiva. Con i suoi 245 cavalli scattava da 0 a 100 in meno di 8 secondi, numeri che per una vettura pensata per il comfort erano più che rispettabili.
Chi preferiva il gasolio poteva contare su un altro asso nella manica: un possente V6 Isuzu da 3.0 litri. Un motore indistruttibile, silenzioso come un orologio svizzero, perfetto per macinare chilometri nel più totale relax. Il cambio automatico a cinque marce completava l’opera, trasformando ogni viaggio in una piacevole crociera su strada.
L’abitacolo era un salotto su ruote, dove il lusso alla francese si esprimeva senza compromessi. Poltrone accoglienti come quelle di un grand hotel, materiali pregiati ovunque, e tanto spazio da far impallidire le rivali tedesche. La tecnologia non mancava, ma era al servizio del comfort, non fine a se stessa.
Eppure tutto questo non bastò. Quando nel novembre 2009 l’ultima Vel Satis uscì dalla fabbrica, il contatore si fermò a poco più di 62mila esemplari. Un fallimento commerciale che fa quasi tenerezza, considerando quanto amore era stato messo in quel progetto. Come spesso accade ai visionari, la Vel Satis aveva osato guardare troppo avanti.
Oggi, mentre le auto diventano sempre più alte e le forme sempre più ardite, quella Renault appare come una profezia su quattro ruote. Un’auto che aveva intuito dove sarebbe andato il mercato, ma che è arrivata con troppo anticipo all’appuntamento con la storia. Il tempo le ha dato ragione, ma troppo tardi.